Chiesa Parrocchiale di San Gerolamo Emiliani
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"La chiesa fa parte dell’ampio programma edilizio che comprende i diversi edifici scolastici e socio-assistenziali sorti a Cimiano tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, nel momento della piena espansione di questa zona della città compresa tra via Palmanova e il Parco Lambro. Diversamente dalla chiesa di Sant’Ildefonso (1954-56), ideata e costruita in meno di due anni, quella di Cimiano ha una lunga gestazione e segue gli sviluppi del progetto dell’intero complesso progettato da De Carli in oltre un decennio. La documentazione conservata consente di individuare una sequenza di tre differenti soluzioni. La pianta rettangolare presente nell’estratto di Piano Particolareggiato del 1953 indicherebbe un’impostazione ad aula longitudinale di tipo tradizionale. La planimetria successiva, risalente alla seconda metà degli anni Cinquanta, rivela un allargamento dell’aula liturgica: la chiesa ha infatti una pianta a campana aperta verso la zona absidale, con un altare centrale su cui convergono tre file diversamente inclinate di banchi, con una disposizione per certi versi avvicinabile a Sant’Ildefonso. Il progetto definitivo è elaborato tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta. La pianta è imperniata su un ottagono centrale, corrispondente allo spazio destinato all’assemblea dei fedeli, sul quale si innestano tre ottagoni iscritti in quadrati che individuano la zona dell’altare, in asse con l’ingresso, il battistero e la cappella per le celebrazioni feriali sui due lati. Così la riassume De Carli: “La composizione si sviluppa attorno allo spazio primario di una comunità per germinazione di forme architettoniche”. Un quadrato, corrispondente alla bassa torre campanaria che separa la chiesa dalla casa parrocchiale, e un altro spazio quadrato corrispondente alla zona coperta dell’ingresso completano la composizione, che richiama un’ideale croce greca. Un sagrato coperto e due passaggi laterali scoperti ai suoi lati, schermati da pareti con riquadri in vetrocemento, sono accessibili da brevi rampe di scale e immettono all’interno dell’edificio, rialzato rispetto alla sede stradale e al terreno sportivo circostante, costituendo un filtro tra l’intimità dello spazio sacro e la città. La costruzione si articola su tre livelli.Nel piano seminterrato, cui si accede da due ingressi laterali esterni, sono collocate alcune aule per le ssociazioni, gli oratori e una grande sala cinematografica. Dal livello dell’aula liturgica si accede invece a tratti di un livello superiore: due scale poste in prossimità delle due cappelle laterali portano a un matroneo sovrastante l’ingresso e rivolto verso l’altare, mentre due accessi dietro la zona presbiteriale conducono alle cantorie che affacciano sull’altare. Si tratta di una composizione di percorsi e spazi su più livelli che, da un lato, rimanda all’idea di continuità degli spazi esterni e interni, sottesa a tutta ’opera di De Carli, dall’altro, risponde alle esigenze liturgiche della tradizione ambrosiana e dei dettati conciliari, che favoriscono la partecipazione degli astanti alle celebrazioni in un’ottica di dialogo tra i edeli e il celebrante. Oltre che dai materiali di rivestimento – costolature in serpentino e semplici intonaci – lo spazio interno è plasmato dalla luce filtrata dalle grandi superfici di vetrocemento “ghiaccio” (con serramenti in alluminio anodizzato e vetri rosso fuoco) o di diversi colori, poste lungo il perimetro dell’edificio. L’articolata composizione volumetrica è leggibile anche esternamente, dove emergono in altezza le strutture un poco più elevate della torretta che sovrasta l’altare e del campanile. Le pareti esterne sono rivestite di piastrelle di grès ceramico bianco, lasciando emergere le strutture verticali e orizzontali in cemento armato a vista; alcune (oggi alterate) erano originariamente scandite da leggerissime rigature di queste piastrelle sull’intonaco di cemento grigio, con un effetto di movimento che ricorda l’Optical-art.L’edificio fu inserito nel programma promosso dal Cardinale Montini per il biennio ’62-’63, che si ntitolava “Ventidue chiese per ventidue concilii” e rispondeva all’intenzione di celebrare il Concilio Vaticano Secondo con la costruzione a Milano di ventidue nuove chiese parrocchiali, “tante, cioè, quanti furono i concili ecumenici”, per ricapitolare simbolicamente la vicenda secolare e universale del cattolicesimo. COMPLESSO DON CALABRIA: Nel numero monografico di Urbanistica n. 18-19 del 1956, dedicato al Piano Regolatore di Milano, il piano particolareggiato di Cimiano sud è così descritto: “il secondo dei quartieri in costruzione lungo il viale Palmanova è formato da piccoli nuclei residenziali […] collegati da grandi spazi destinati a verde pubblico. Particolarmente importanti il centro del quartiere e il gruppo scolastico”. Si tratta del Centro Don Calabria progettato da Carlo De Carli e realizzato a Cimiano tra il 1952 e il 1965 ai margini del Parco Lambro. Una ricostruzione del cammino di idee e programmi che stavano dietro la partenza del progetto, prima che apparisse un’idea dotata di una qualche chiarezza, e di ciò che avveniva in questo spazio negli anni che vanno dal ‘45 al ‘52, aprirebbe scenari inaspettati: si potrebbe scoprire un modo di vivere e di organizzare il lavoro oggi inimmaginabile e anche un po’ sconcertante. Vi si troverebbe, ad esempio il cardinale Schuster, che invita il veronese Don Giovanni Calabria “in una zona rossa scarlatta”, come la definirà lo stesso sacerdote, ad acquisire un terreno del Comune. Per farne cosa? Si chiede ancora lo stesso prete. Qualcuno (don Luigi Verzè, inviato dalla stessa Opera dei Servi Poveri della Divina Provvidenza) vorrebbe un ospedale, Schuster una casa di riposo, poi un complesso a sostegno dei ragazzi sbandati del dopoguerra. Nel 1952 iniziano i lavori per un complesso che integri scuole elementari e di avviamento professionale con i relativi laboratori, un pensionato con asilo infantile e scuole femminili (tenuto dalle Suore Orsoline di Verona), una residenza per i ragazzi (non realizzata), la chiesa e le relative opere parrocchiali. De Carli è così impegnato nel suo tipico tema di un organismo, in questo caso urbano, determinato per aggregazione di “unità architettoniche di spazio primario”. L’area su cui vengono realizzati gli edifici del Centro Don Calabria ha la forma di un trapezio e al suo interno si alternano palazzine e zone lasciate a verde. La planimetria generale è coordinata da una griglia composta da ottagoni e quadrati e gli edifici vi vengono collocati come unità, autonome nella loro essenzialità e finitezza, e al tempo stesso aperte al contesto e agli altri edifici. Per primi vengono realizzati a sud est di via Pusiano i tre laboratori esagonali, separati da “esterni-interni” (piccole corti allungate) e caratterizzati dalla lama orizzontale dei ballatoi aggettanti sopra il piano terra arretrato e dalla continuità delle finestrature modulari in legno, che, come osserva Rossari, “fa lievitare i corpi, distaccandoli dal terreno, ma nel contempo li fa dialogare, li mette in rapporto reciproco”. Nel chiarire la relazione che si dovrebbe instaurare tra le varie unità architettoniche, De Carli ricorre alla metafora dell’ “albero della foresta fisica” che è sì elemento chiuso, finito, ma allo stesso tempo, vivo e aperto: che dialoga con l’intorno, che accoglie tra i suoi rami ma non trattiene. Successivamente vengono realizzate le scuole (un semplice ed elegante parallelepipedo che ospita nello zoccolo di piano terra e interrato la segreteria e la palestra, e ai piani superiori le aule didattiche), il pensionato, destinato ad accogliere giovani lavoratrici o signore anziane, e infine la chiesa parrocchiale. Se le scuole sono caratterizzate da fasce marcapiano in cemento martellinato e dal rivestimento del clinker chiaro, il pensionato (oggi totalmente alterato e irriconoscibile) era scandito dalla scalettatura in diagonale delle stanze, collegate da una loggia esterna, e dalle scansioni ritmiche delle porte-finestre, distinte da fasce marcapiano e da incisioni del rivestimento in clinker. Scrive Marina Molon: “Il complesso di servizi di Cimiano sembra una “città di fondazione”, una piccola città ideale nella periferia, con il suo tracciato, il suo confine e i suoi capisaldi architettonici, anche se tutto – forme e disposizioni – sembra muoversi”."
@dannatiarchitettipodcast